Il grande olio della Mattanza vive, in parallelo, ai riti evocati durante l'arco creativo di Gianbecchina che hanno privilegiato la celebrazione della terra.
Ora viene cantata la selvaggia bellezza e l'esperienza della vita di mare.
Qui l'uomo, non più contadino, ma pescatore, porta sulla pelle del volto quella scrittura del tempo, come recita Gianbecchina in una sua opera, disciolta in un contesto cinematico di ampia suggestione.
Nella Mattanza vibra e si rigenera un elevato valore antropologico, non tanto vissuto come citazione, quanto come partecipazione e denuncia a quella perdita della pratica della Mattanza, dovuta alla chiusura delle Tonnare.